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martedì 28 febbraio 2012

Quando l'indivia non è peccato

27/02/2012 - Noi segnaliamo un nuovo presidio Slow Food, che usa ancora antichi metodi. È la scarola di Bergamo



In attesa che il recente innalzamento delle temperature ci conduca in piena primavera, adesso tra le poche cose buone che si producono ovunque c’è l’indivia. I suoi prezzi, come per il resto dell’ortofrutta, stanno tornando a livelli normali. È disponibile sempre, ma in questa stagione ci si può orientare sulle più gustose indivie sottoposte a imbianchimento, che sono anche più costose (2,5/3 Euro contro 1,40), per il lavoro che richiedono e per una resa più bassa di quelle verdi.

Cominciamo con l’evitare confusioni terminologiche.L’indivia è parente delle cicorie, ma quella che tutti chiamano “indivia belga” in realtà è proprio una cicoria. È uno degli ortaggi a più “industriali” che si possano trovare sul mercato, coltivato con tecniche molto impattanti. Cerchiamo di evitarla e buttarci sulle vere indivie, possibilmente locali, che si possono suddividere in due gruppi: le indivie ricce e le scarole. Le prime si consumano soprattutto crude, ma in Lazio sono tradizionali cotte, come nel piatto romanesco-ebraico “aliciotti e indivia”. Ci sono ottime varietà invernali come la ruffec e la riccia d’inverno. Il nome dice già tutto: i cespi della riccia hanno foglie con margini molto frastagliati e non si sviluppano granché in altezza. La romanesca da taglio, o “endivietta verde”, è l’unica che non dà cespi.

Le scarole, più tipicamente invernali, hanno invece foglie larghe, lisce o ondulate. I cespi diventano più grandi e resistono meglio al freddo, il che li fa preferire per le tecniche d’imbianchimento che li rendono disponibili fino a primavera. C’è la cultivar di Bassano o la centofoglie di Venafro (IS). Noi segnaliamo un nuovo presidio Slow Food, che usa ancora antichi metodi. È la scarola di Bergamo, coltivata sui fazzoletti di terra attorno alle mura della Città Alta. A fine ottobre viene legata con un laccio, cespo a cespo, affinché le foglie interne non prendano luce. Con i primi freddi si trasferiscono le piantine negli scantinati antichi della Città Alta e si distendono al buio. Le foglie interne continuano a maturare ma non acquistano colore. Sono tecniche che in altri luoghi si sono modernizzate con magazzini a temperatura controllata, ma che restano simili come concetto, pur magari non dando lo stesso risultato in termini di gusto. Il cuore candido della scarola di Bergamo è fragrante e croccante e il sapore delicato, molto meno amaro del normale.

Rubrica "Sabato la mercato" di Carlo Bogliotti su La Stampa

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