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sabato 6 novembre 2010

IL VALORE DELLE COSE

Se considerassimo i costi sociali che le multinazionali scaricano sulla collettività per produrre a prezzi “stracciati”, scopriremmo il reale valore delle cose. E così, valutando il costo dell’emissione di CO2, i costi “sanitari”, un hamburger prodotto dalla celebre corporation McDonald, arriverebbe a valere ben 200 dollari, all’incirca 196 in più del suo prezzo di vendita.

Se al contadino, che coltiva la terra e fa gran parte del lavoro che poi porta ad avere il prodotto finito, viene riservata la quota più piccola nella ripartizione del prezzo finale pagato dal consumatore, è evidente che qualcosa di distorto nel sistema c'è.




Ogni volta che comperiamo una banana il 45 per cento di ciò che paghiamo va al rivenditore, il 18 per cento all'importatore, il 19 per cento viene assorbito dai costi di trasporto, mentre alla compagnia che controlla la piantagione spetta circa il 15 per cento. Al contadino, a colui che ha lavorato la terra e si è impegnato concretamente per far crescere il frutto, resta meno del 3 per cento: una miseria. Evidentemente c'è qualcosa che non va in un modello così iniquo di distribuzione, che non riguarda peraltro solo i beni alimentari. Il prezzo da noi pagato per ogni cosa, dal cibo ai beni di consumo, è sistematicamente distorto. Il mercato non riesce a valutare con equità il valore del lavoro, i bisogni delle persone, le necessità delle generazioni future. E quando i prezzi sono ancorati al nulla anziché ai valori reali siamo di fronte a un baratro. 

Quanto sopra sono alcuni punti trattati da Raj Patel nel suo libro 'Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo' - Ed. Feltrinelli Serie Bianca - € 16,50

Raj Patel è uno studioso che conosce bene i meccanismi della produzione del cibo: è un ex dirigente della Banca Mondiale e del Wto, l’organizzazione mondiale per il commercio, nonché laureato ad Oxford,  per cui diremmo che è  “uno del sistema”.

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