Lo studio statunitense è stato condotto dallo US Department of Agriculture insieme con gli Apiary Inspectors of America. Sono stati intervistati oltre 5.500 apicoltori che curano circa il 15% del totale degli alveari del paese, presso i quali si contano circa 2,68 milioni di colonie. Il 31% degli interrogati ha risposto di aver perso, tra ottobre 2010 e aprile 2011, una parte molto rilevante delle colonie (con percentuali che arrivano al 60%) senza aver trovato api morte nell'alveare, ovvero di aver riscontrato la sindrome da spopolamento (CCD). Gli altri alveari hanno avuto perdite minori pari a circa il 30% delle colonie. Di norma si considera accettabile una perdita del 13% di colonie, ma oltre sei apicoltori su dieci hanno affermato di averne perse molte di più.
Il dato appare ancora più drammatico se confrontato con quelli degli ultimi anni: nell'inverno 2007/2008 la perdita è stata, in media, del 32%, nel 2008/2009 del 29% e nel 2009/2010 del 34%. La sostanziale stabilità, hanno commentato gli autori, è un'assai magra consolazione: dimostra che la situazione non si è ulteriormente aggravata, ma anche che la soluzione del problema è ben lontana.
Sulle cause delle stragi di api negli ultimi anni sono state chiamate in causa moltissime ipotesi: cambiamenti climatici, variazioni genetiche nei parassiti, nei batteri, nei funghi che colpiscono le api, comparsa di nuovi virus, campi magnetici, stress delle api causato dagli spostamenti, sfasamenti ormonali e molto altro ancora.
Ma l'unica idea confortata dai fatti è quella proposta innanzitutto da ricercatori italiani, ossia l'avvento dei neonicotinoidi nella concia dei semi e, in particolare, di quelli del mais.
Per capire a che punto è l'Italia, Ilfattoalimentare.it ha posto alcune domande ad Andrea Tapparo, associato di chimica dell'Università di Padova e autore di importanti studi sull'argomento, due dei quali di imminente pubblicazione.
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