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giovedì 24 ottobre 2013

Il semaforo (guasto) sull'educazione alimentare



23/10/2013 - L'Inghilterra ha adottato una nuova forma di educazione alimentare, introducendo sul fronte di ogni etichetta di cibi pre-confezionati un semaforo. A ciascun valore è associato un colore: se rispetto a 100 grammi di quel prodotto ci sono più di 12,5 grammi di zucchero, ad esempio, lo spicchio avrà fondo rosso. Tra i prodotti a spicchio rosso anche prosciutto di parma e parmigiano reggiano


Il Governo Inglese ha presentato lo scorso 19 giugno (terremotando i sonni di molti produttori, anche di ottima qualità) una nuova misura di informazione alimentare. D'intesa con i principali gruppi della distribuzione, la decisione assunta è stata quella di inserire sul fronte di ogni etichetta di cibi pre-confezionati un semaforo, che può avere la forma di un cerchio suddiviso in cinque spicchi. In ciascuno di questi spicchi è indicato un valore nutrizionale: calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale.
A ciascun valore è associato un colore: se rispetto a 100 grammi di quel prodotto ci sono più di 12,5 grammi di zucchero, ad esempio, lo spicchio avrà fondo rosso. Se tra 5 e 12, 5, ambra. Se meno di 5, verde.

Ora, nelle intenzioni del Governo inglese, che ha deciso di affrontare a muso duro il problema dell'obesità e della carenza di educazione alimentare, ci sono senz'altro due motivi di soddisfazione. Il primo motivo è che un Governo conservatore in una delle nazioni a maggiore tradizione mercantilista superi il tabù di un intervento in campo economico radicale e costoso (per i privati) a fini di salute pubblica. Il secondo motivo è l'attenzione che viene per la prima volta prestata in modo tanto intransigente al bisogno dei consumatori (rappresentati in molte e combattive associazioni) di maggiore chiarezza in etichetta. Purtroppo, però, le ragioni di soddisfazione si fermano qui.
Il "semaforo" infatti rappresenta un tentativo di porre rimedio a storture che nascono da quando nel 1996 furono introdotte i GDA, ovvero le quantità massime di nutrienti, indicate per il consumatore medio, ai fini di una dieta bilanciata. Poiché nella genesi di quelle linee guida venne presunto un fabbisogno calorico mediamente elevato (specie per chi non svolge attività manuale o comunque faticosa) e soprattutto poiché quelli che erano limiti massimi (comunque troppo alti, secondo fonti indipendenti), da non superare assolutamente, vennero presto interpretati come il tetto da raggiungere ogni giorno - in termini di grassi e zuccheri semplici, ad esempio - quelle linee guida non sortirono i benefici effetti che solo ingenuamente qualcuno aveva potuto sperare.
Oggi si continua su quella strada, tentando una pezza sul buco, ma usando una pezza che presenta tratti profondamente sbagliati per chi, come Slow Food (ma non solo) promuove l'innalzamento del livello culturale dei consumatori, prodromico a loro scelte consapevoli, e un recupero di valorialità del cibo: questi due elementi mancavano nei  GDA e continuano a mancare in ciò che si tenta di fare oggi, in Gran Bretagna.
Si continua a insistere solo sul peso, sulle calorie calcolate e sui grammi di nutrienti e poco importa se di quel prodotto uno non ne consuma 100 grammi in una volta e nemmeno al giorno, così come nulla importa della varietà dell'apporto di nutrienti e delle scelte non aritmeticamente misurabili.

Io mi chiedo, quale educazione alimentare dovrebbe ancora servire se basta uno sguardo alle luci del semaforo per scegliere? Immagino che molti penseranno: nessuna.

Si dirà: educare è un processo lungo, mentre qui siamo in emergenza, qualcosa andava fatto. E chi lo nega? Solo che adesso oltre che un percorso lungo educare apparirà inutile. Perché spiegare che certo, un ottimo prosciutto di Parma ha pressoché tutte le luci rosse, eccettuati forse gli zuccheri, ma questo non ne fa affatto un prodotto da evitare, bensì da consumare con piacere e gusto nell'ambito di una dieta bilanciata da giusti apporti di fibre e altri nutrienti di origine vegetale, risulterà troppo lungo e complicato, rispetto a scegliere solo etichette verdi!

L'adozione di questo semplicistico codice grafico, però, non si limiterà a porre nel nulla gli sforzi di chi fa educazione alla responsabilità alimentare, ma probabilmente si ritorcerà addirittura contro i suoi stessi, oggi entusiastici, promotori.
Fra le luci del semaforo infatti non si trovano protidi, glucidi (diversi dallo zucchero) e fibre: il semaforo può essere verde e, tuttavia, la composizione, per quanto attiene a questi elementi, essere del tutto squilibrata o le fibre (un classico nella dieta contemporanea) totalmente assenti. Insomma: come sempre accade quando si decide che qualche parametro conta più degli altri, avremo produttori che si concentreranno per avere semafori verdi rispetto a ciò che "si vede" e lasceranno nell'ombra ciò che "non si vede". Magari, dovendo ingegnarsi e spendere in processi tecnologici atti a ridurre i cinque elementi sul banco degli imputati, faranno (ulteriori risparmi) sulla qualità delle materie prime. Oppure, altra consuetudine, faranno pagare i costi del balzello cromatico ai loro fornitori.
Mi colpisce dunque molto che questa scelta in materia di etichettatura venga percepita come neutra e ispirata a una effettiva salvaguardia del consumatore. Non sono mai stati neutri i GDA, che hanno alle spalle precisi committenti dell'agroindustria, non sono neutri gli studi su cui si basa il "semaforo".
Per di più, quest'ultimo è viziato da una logica di brevissimo periodo, un po' per le ragioni sopra esposte e un po' perché abituato l'occhio a tutto quel rosso, il desiderio di consumare uno snack dolce o un salume qualsiasi farà premio su quello stratagemma grafico. Nel frattempo però chi ne avrà fatto le spese saranno quei prodotti di qualità che per loro tradizione produttiva non sono "traffic light friendly", ma di cui nessuno sano di mente suppone un consumo nelle quantità che sono prese come unità di misura per attribuire il bollino rosso!
Chi di noi consuma 100 grammi di Parmigiano Reggiano al giorno? Ecco, basterebbe questa domanda a svelare che il semaforo non è uno strumento realmente corrispondente al bisogno del consumatore, cui servono invece educazione e recupero di valorialità del cibo, nel quadro di un equilibrio che non è il prodotto di un automatismo (bollino verde - compro - mangio), ma il frutto di una maturità che tiene conto di caratteristiche personali, tradizioni, fabbisogno calorico individuato persona per persona, gusto, stagionalità, tipicità, qualità  e sicurezza.
Per questo, il pur volenteroso sistema di colori non può che apparire come la punta più avanzata di un modello di consumo del cibo che deprime la viceversa fondamentale importanza del nutrimento (che è ben lungi dall'essere solo benzina per il nostro motore) in virtù  di una perdurante perdita di capacità e opportunità di scelta da parte dei cittadini. E questo non ci pare davvero accettabile.


Carlo Petrini

Da La Repubblica del 8/10/2013 

venerdì 18 ottobre 2013

Giornata alimentazione in Italia, la battaglia più difficile è contro gli sprechi

Il cibo che si getta in casa vale complessivamente lo 0,5% del Pil, ovvero 8,7 miliardi di euro. Nel 2010 la produzione agricola italiana lasciata in campo perché raccoglierla veniva considerato non conveniente è stata pari a oltre 1,5 milioni di tonnellate: il 3,2 per cento della produzione totale. E nel mondo c'è un miliardo di persone con il piatto troppo vuoto
Oggi, nella giornata mondiale dedicata all'alimentazione, si fa il punto sulla lunga battaglia contro la fame. Molte iniziative ricordano che l'obiettivo fissato nel 1996 (dimezzare il numero degli affamati entro il 2015) è stato finora raggiunto solo da 22 paesi. Ma anche che, a fronte di un miliardo di persone con il piatto troppo vuoto, ce n'è un miliardo con il piatto troppo pieno e il corpo minacciato dall'eccesso di cibo.

Dunque il problema essenziale non è la carenza, ma la mancanza di equilibrio. Lo sottolinea l'Oms (Organizzazione mondiale della salute) quando continua a ricordarci che molto spesso, invece di mettersi a dieta, sarebbe meglio prendere l'abitudine di andare al lavoro in bici o a piedi per bruciare le calorie accumulate. Lo sottolineano anche il convegno organizzato questa mattina dal ministero degli Esteri ("Perdite e sprechi alimentari globali: dalla riduzione alla prevenzione per un sistema alimentare sostenibile") e la decisione di servire nelle mense della Fao e della Farnesina un pranzo con cibi di recupero dalle eccedenze della filiera agroalimentare e prodotti a chilometro zero.

La battaglia contro gli sprechi sta diventando sempre più centrale perché buttare via il cibo non è solo una follia economica (quelli che si gettano in casa valgono lo 0,5% del Pil, 8,7 miliardi di euro) ma una maniera di sciupare le enormi quantità di acqua e di energia che sono servite per produrre quelle materie prime che poi, magari per una fluttuazione del prezzi sui mercati internazionali, si lasciano a marcire sui campi perché non diventa più conveniente utilizzarle.

Dai calcoli di Andrea Segré, il presidente di Last Minute Market che il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando ha coinvolto nella campagna per la diminuzione dei rifiuti, risulta che "nel 2010 la produzione agricola italiana lasciata in campo perché raccoglierla veniva considerato non conveniente è stata pari a oltre 1,5 milioni di tonnellate: il 3,2 per cento della produzione totale. Questo spreco comporta anche la perdita di una quantità di energia che basterebbe a riscaldare 67 mila appartamenti da 100 metri quadrati".

Non è un problema solo italiano. Nei paesi industrializzati tra il 15 e il 30 per cento del consumo totale di energia è imputabile alle filiere agroalimentari: sprecare cibo vuol dire buttare via energia che molto spesso ha comportato l'emissione di gas serra. E aumentare inutilmente i consumi idrici: nel 2010 abbiamo buttato via 12,6 miliardi di metri cubi d'acqua, impiegati nella produzione di 14 milioni di tonnellate di prodotti agricoli abbandonati nei campi. Lo spreco è un fallimento del mercato che ci costa molto in termini economici, sociali e ambientali.

Fonte: La Repubblica  16 ottobre 2013