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domenica 9 giugno 2013

Perché il destino del pianeta dipende dal nostro menù


04/06/2013 -

Il mondo, scrive Javier Marías in '''Domani nella battaglia pensa a me''' (Enaudi 1998), dipende dai suoi relatori.


A volte le tematiche ambientali ci si presentano, giustamente, con un tale livello di complessità che ci sgomentiamo e ci sembra che tutta la preoccupazione che qualcuno esterna in merito sia francamente al di fuori della nostra portata. Ma spesso, anzi quasi sempre, sistemi complessi, in termini di comportamenti o di teorie, nascono da piccoli elementi molto semplici, che poi diventano significativi per via della loro ridondanza, cioè per il fatto che vengono replicati molte volte da molti soggetti simili.

Una quindicina di anni fa quello che in allora era il presidente dei risicoltori italiani, giovane discendente degli Asburgo la cui prevalente occupazione agricola non aveva modificato né i modi né l'accento ereditati dai suoi aristocratici avi, a proposito di agricoltori ed ecologia ebbe a dire, in una riunione: «Noi agricoltori non abbiamo necessariamente una coscienza ecologica, ma se comprendiamo che con il riso biologico possiamo fare più reddito, la coscienza ecologica, mi creda, ci viene». Non sono convinto della scarsa sensibilità ecologica degli agricoltori, specialmente delle giovani generazioni e dei piccoli produttori. Comunque, si può dire che se i mari sono più puliti è anche grazie al miglior prezzo che il riso biologico spunta sui mercati.

Uno dei padri del vino biodinamico, racconta che nella sua vita precedente lui trattava i vigneti come facevano tutti quanti. Poi ebbe un figlio e questo bambino iniziò a sentirsi male ogni volta che lui faceva i trattamenti in vigna. A nulla valeva tenerlo in casa con porte e finestre sprangate durante quei giorni, l'allergia lo colpiva duramente. Iniziò così la sua conversione al biologico e poi al biodinamico: suo figlio non riusciva a respirare, e lui è diventato un benefattore del pianeta.


In generale, chi come me si occupa di cultura della gastronomia, e dunque dell'ambiente, tende a pensare che i comportamenti perfettamente consapevoli abbiano più valore. Ma tanti anni in un'associazione come Slow Food, sparsa su tanti territori diversi, e dunque adattatasi a tante situazioni diverse, e raccontata in migliaia di modi diversi, mi hanno fatto molto riflettere. Alcuni dei nostri dirigenti sui territori, per esempio, hanno scelto di comunicare le questioni ambientali partendo dal tema della salute. Fa sorridere perché Slow Food iniziò il suo percorso prendendo le distanze dalle prescrizioni mediche nelle quali il cibo diventava un elenco di componenti chimiche e di calorie rispetto al quale il paziente completamente deresponsabilizzato doveva limitarsi a pesare e contare, invece di indagare e capire.

Ma da allora son passati quasi trent'anni e sono cambiate tante cose, e la salute ha trovato il suo posto
anche e soprattutto alle tavole dei nuovi gastronomi.

Consumare meno carne fa bene alla salute; se poi quella poca che si consuma si sceglie tra quella allevata nel rispetto del benessere animale e localmente così non viaggia (inquinando) per essere distribuita, è meglio. Inoltre se consumiamo meno carne, gli agricoltori faranno meno mais, così potranno fare la rotazione delle colture evitando i pesticidi di concia delle sementi, che tanto danno fanno alle api, e che non si sa quanto danno fanno agli altri esseri viventi. Mangiare meno carne fa bene alla salute di tutti. 


Ma se qualcuno intraprendesse questo virtuoso percorso pensando solo alla propria non cambierebbe molto, nei fatti, e dunque ben venga anche un po' di egoismo, che certo non apre la mente, ma intanto migliora la situazione di aria acque e salute pubblica.

Il tonno rosso va evitato perché ce n'è rimasto poco. Ma c'è di più: è un animale longevo, che può stare nel suo habitat per qualche decina d'anni, assorbendo parecchie sostanze nocive. Per questo si raccomanda di preferire pesci a ciclo di vita breve, che entrano nella stagione riproduttiva nel giro di qualche mese dalla nascita e concludono la loro esistenza nel giro di un anno o due, che noi li peschiamo o no. Se mangiamo quelli (le acciughe, un esempio tra tutti) facciamo un favore al pianeta. Ma se fare favori al pianeta non è nella top ten delle nostre priorità va bene lo stesso.

 Pensiamo che le acciughe, o il salmerino, non hanno il tempo di assorbire schifezze dall'acqua in cui nuotano, e mangiamoceli in serenità.

Insomma, se tenere a mente in modo costante le questioni ambientali vi sembra al di fuori della vostra
portata, rilassatevi, non è un problema. O meglio, come dicono a Napoli... pensate alla salute!


Di Carlo Petrini
c.petrini@slowfood.it
da La Repubblica del 1 giugno

venerdì 7 giugno 2013

«Il cibo che si butta via, è come se fosse rubato alla mensa di chi è povero»



06/06/2013 - In occasione della Giornata mondiale dell'ambiente anche papa Francesco è intervenuto ricordandoci che: «Stiamo sfruttando e trascurando la Terra». E lancia il concetto dell'«ecologia umana»


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei soffermarmi sulla questione dell’ambiente, come ho avuto già modo di fare in diverse occasioni. Me lo suggerisce anche l’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, promossa dalle Nazioni Unite, che lancia un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti.
Quando parliamo di ambiente, del creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15).
E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni.

Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano.

E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne. noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia, sembra normale. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città, costituisce una tragedia.

Uno che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti. Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi.

Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini, abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme.

Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie.

domenica 2 giugno 2013

Alimentare: il cibo low cost è una trappola. Il rapporto Coldiretti allarma la Ue



Smascherare le 'trappole' che si nascondono dietro il cibo 'low cost', l'unico settore in Italia a registrare un aumento delle vendite per effetto della crisi, ma che potrebbe creare rischi alla salute dei consumatori. I dati denunciati dalla Coldiretti a Bruxelles sono allarmanti: sei famiglie italiane su 10 hanno tagliato sulla quantità e la qualità degli alimenti privilegiando spesso quelli a prezzi troppo bassi per essere 'sinceri', e nel contempo si assiste all'aumento degli allarmi alimentari: "il 26% in più solo nel 2013".


Lo scorso anno - rivela il dossier che l'organizzazione agricola italiana ha portato ai responsabili europei -"sono entrati in Italia 85mila tonnellate di pomodori 'irregolari' per la presenza di residui chimici, ma anche pistacchi e nocciole provenienti dalla Turchia contaminati da muffe". E' cresciuta del 38% l'importazione di miele naturale dalla Cina per cui l'Ue ha lanciato un allarme sul rischio contaminazione da Ogmnon autorizzati.
"Dall'Est europeo poi sono giunti in Italia, per la produzione di pane, milioni di chilogrammi di impasti semicotti e surgelati con scadenza 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti". Insomma, una fotografia su "I rischi dei cibi low cost" inquietante che il presidente della Coldiretti Sergio Marini ha presentato alla presidenza dell'Ue, il ministro irlandese Simon Coveney, al numero uno della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro. L'obiettivo: far capire "la necessità di valorizzare l'agricoltura Ue garantendo sicurezza ambientale e alimentare dei cittadini".
Nel resto dell'Europa la situazione non è migliore - mette ancora in guardia la Coldiretti - visto che "lo scorso anno l'80% degli avvertimenti per rischi alimentari è stato provocato da cibo low cost proveniente da Paesi extra-Ue. Sul podio, nell'ordine, Cina, India e Turchia".
L'Agenzia europea per la sicurezza alimentare "ha evidenziato una carrellata di dati negativi: dal pepe indiano (irregolare il 59%) al pomodoro cinese (irregolare per il 41%), alle arance egiziane (irregolare il 26%). A differenza delle spremute poi la maggioranza del succo di arancia consumato in Europa proviene dal Brasile sotto forma di concentrato a cui viene aggiunta acqua".
Per Coldiretti il cibo low cost contamina anche la 'dieta Mediterranea'. "Se la produzione alimentare "Made in Italy è la più sicura sulla presenza di residui chimici, lo sono stati meno - tra gli alti - i fagiolini del Marocco (irregolari nel 15% dei casi) le fragole etiopi (16%), i piselli del Kenya (38%) fino ai peperoni dell'Uganda (48%))". Senza contare che "sono raddoppiate in 10 anni le importazioni da partner Ue in Italia le imitazioni di Parmigiano Reggiano e Grana Padano".
Marini ha detto con forza ai vertici europei che "la riforma della Pac che si prepara deve premiare chi lavora e vive di agricoltura, chi produce cibo e chi lo fa in modo sostenibile". Quanto all'Italia - ha concluso - occorre un piano strategico nazionale per aumentare del 10%, entro 5 anni, la copertura del fabbisogno alimentare nazionale, anche con politiche di salvaguardia del suolo agricolo e delle risorse naturali".